The cardiovascular diseases sono ormai da diversi anni la principale causa di morte nel nostro Paese. Come riportano i dati del Ministero della Salute del 2021, malattie come ischemie, infarti e ictus sono responsabili del 34, 8% dei decessi totali, con il 31,7% per gli uomini ed il 37,7% per quanto riguarda il sesso femminile.
Per questi motivi, si sono spese negli anni molte parole sulle cardiovascular diseases, sui potenziali fattori di rischio e sulle cure (preventive e non) da adottare per combatterle. Tanto che, anche chi non ha particolare interesse in queste patologie, possiede una certa familiarità con i loro sintomi e rimedi. È, infatti, noto per evitare rischi in questo senso occorre tenere sotto controllo fattori come la pressione arteriosa, il colesterolo, la glicemia e lo stile di vita sedentario. Noi stessi abbiamo ampiamente trattato l’argomento in diversi articoli, come ad esempio Meno sale per ridurre il rischio di ictus e infarti.
In questo articolo vogliamo però affrontare l’argomento introducendo un dibattito iniziato negli anni ‘40, al fine di completare il panorama sulle cardiovascular diseases.
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Il dibattito su malattie cardiovascolari e vitamina E
La vitamina E venne isolata per la prima volta nel 1936 a partire dal germe del frumento. Da allora se ne sono studiate le proprietà e i potenziali benefici in numerosi campi, compreso quello delle cardiovascular diseases.
A questo proposito, però, si sono nel tempo generate teorie e idee contrastanti. I primi scienziati che hanno utilizzato la vitamina E per il trattamento di disturbi coronarici e vascolari periferici hanno subìto l’ostracismo della comunità scientifica. Il medico canadese R. James Shute, in collaborazione con i suoi due figli, il dottor Evan V. Shute e il dottor Wilfrid E. Shute, infatti, si sono visti negare i risultati ottenuti dalle autorità mediche dell’epoca.
L’idea condivisa era che le dosi di Vitamin E somministrate dai tre medici nordamericani ai propri pazienti non provocassero miglioramenti per la salute e non avessero nessun effetto né sulla prevenzione, né sul controllo delle malattie.
Anche i successivi studi che esaltavano i benefici della vitamina E furono bollati come infondati, falsi e deplorevoli. Furono persino effettuati esperimenti volti a dimostrare il contrario, come afferma il dottor Jean Mayer nel 1977:
“Data la varietà dei segni di carenza in diversi animali, si è provato a somministrare enormi dosi di vitamina E in un gran numero di malattie umane, dall’aborto ripetuto ai disturbi cardiaci e alla distrofia muscolare. Gli esperimenti non furono un successo. Pertanto, i medici sono tornati alla vecchia posizione, secondo cui la vitamina E ci è necessaria, ma solo in quantità moderate".
La ricerca scientifica oggi
È solo in tempi recenti che si è rivalutato il ruolo della vitamina E per il trattamento delle cardiovascular diseases, anche se ancora persistono concezioni contrastanti.
Sono, infatti, numerosi gli studi che hanno dimostrato in laboratorio come una carenza di Vitamin E (e di altre vitamine tra cui A, C, D, ecc.) sia associata ad alterazioni della normale funzione cardiovascolare. Mentre, al contrario, la somministrazione di queste vitamine ha evidenziato una riduzione del rischio di cardiovascular diseases come:
- ipertensione;
- aterosclerosi;
- ischemia del miocardio;
- aritmia;
- scompenso cardiaco.
D’altra parte, esistono anche diversi studi clinici (anche se in misura minore) che non hanno sempre mostrato risultati analoghi, non riuscendo a giungere alle medesime conclusioni. Si attendono evidenze conclusive.
Cosa sappiamo della vitamina E
Quello che sappiamo per certo della vitamina E è il suo ruolo di antiossidante naturale liposolubile. Essa disattiva i radicali liberi, riducendone l’effetto dannoso.
L’ossidazione che si verifica naturalmente è poi legata al famigerato “colesterolo cattivo”, che proprio grazie a questo processo si attacca alle pareti di vasi sanguigni, bloccando le arterie e causando un forte rischio di cardiovascular diseases, come ad esempio l’aterosclerosi. La vitamina E ostacola, inoltre, i processi che consentono l’aggregazione delle piastrine, riducendo il rischio della formazione di emboli, trombi e placche.
A questo proposito, Linus Pauling, nel suo famoso libro “Come vivere a lungo e sentirsi meglio”, analizza così lo studio del dottor Knut Haeger:
“Haeger ha osservato che gli acuti dolori ai polpacci avvertiti dai pazienti con disturbi occlusivi arteriosi periferici dopo aver camminato per un certo tratto sono analoghi agli acuti dolori al cuore (angina) dei pazienti coronarici. In entrambi i casi, il dolore deriva da una carenza di ossigeno: il lavoro muscolare provoca un esaurimento dell’ossigeno prima che l’organismo riesca a rifornirne la gamba o il cuore attraverso le arterie ostruite. Non vi è dubbio che il dolore muscolare viene ridotto dalla vitamina E (così come lo sono i crampi muscolari sperimentati da alcuni soggetti); è pertanto ragionevole che anche il paziente cardiaco trovi sollievo alla sua angina mediante la vitamina E, così come sostengono Wilfrid ed Evan Shute nei loro libri".
In conclusione
Le evidenze scientifiche, sebbene ancora non concordi al 100%, sembrano propendere verso un effetto benefico della vitamina E sulle cardiovascular diseases. Nell’attesa di studi che mettano fine alla discussione, vogliamo evidenziare che la vitamina E non ha mostrato effetti negativi sull’uomo fino ad un dosaggio di 540 mg / die.
Un eccesso di vitamina E è molto raro, considerato che essa è presente nei cibi che mangiamo in quantità ridotte. L’alimento che ne contiene maggiormente è infatti l’olio di germe di grano, con una concentrazione di 150 mg su 100 g di prodotto.
I rari rischi legati ad un’eccessiva assunzione di vitamina E possono provocare:
- problemi a chi già soffre di tiroide;
- stanchezza;
- digestione difficile;
- nausea;
- vomito.
Infine, per quanto riguarda gli integratori alimentari a base di vitamina E, sono disponibili presso il sito Bioline laboratories i prodotti ACE Vision is Vitamin E, che contengono una quantità significativa di vitamina E.