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Vitamina D: a cosa serve e come è collegata alle malattie dell’osso

vitamina d

Si intende vitamina D, o calciferoli, una serie di composti aventi azione antirachitica, ovvero necessaria ad impedire la malattia del rachitismo caratterizzata da gravi disturbi dell’ossificazione con conseguenti deformazioni ossee e ritardo mentale.

La vitamina D2, o ergocalciferolo, è stato il primo composto antirachitico ad essere isolato dal fungo ergot (Claviceps purpurea), un infestante delle graminacee.

La vitamina D3, o colecalciferolo, è stata successivamente isolata dall’olio di pesce. Entrambe queste forme sono inattive: la bio-attivazione avviene in seguito alla reazione compiuta tra gli enzimi del fegato e la vitamina D. È importante sottolineare che la vitamina D3 risulterà, dopo la bio-attivazione, 80-100 volte più attiva rispetto alla vitamina D2.

Tra i prodotti ottenuti dalla reazione enzimatica va annoverato il calcidiolo (25-idrossicolecalciferolo), un preormone, il quale a sua volta viene trasformato dai medesii enzimi epatici e renali nell’ormone finale attivo calcitriolo (1,25-diidrossicalciferolo o 1,25-(OH)2D).

Il calcitriolo interagisce con i recettori endocellulari posti in prossimità del nucleo della cellula, attivandoli. Esso svolge un ruolo essenziale nella regolazione del metabolismo del calcio e del fosforo:

  • favorisce l’assorbimento del calcio a livello intestinale;
  • favorisce il riassorbimento del calcio e del fosforo nel tubulo contorto prossimale;
  • favorisce la deposizione del calcio a livello del tessuto osseo.

Inoltre il calcitriolo esercita un effetto sulla crescita e sulla differenziazione cellulare sulla pelle, induce la formazione di macrofagi (cellule del sistema immunitario) partendo da precursori mieloidi, inibisce la sintesi di immunoglobuline e stimola l’aggregazione piastrinica.

L’uomo è inoltre in grado di sintetizzare la vitamina D a partire dalla provitamina deidrocolesterolo, un composto chimico simile per struttura molecolare al colesterolo, situato, sulla superficie della nostra pelle. Il deidrocolesterolo, irradiato dal sole, potrà essere trasformato in colecalciferolo (vitamina D3), attraverso una reazione chimica catalizzata dai raggi ultravioletti (UV) e a sua volta trasformato in 1,25-diidrossicalciferolo dagli enzimi del fegato e del rene.

Grazie alla presenza di deidrocolesterolo nella nostra pelle, un’adeguata esposizione al sole riduce il fabbisogno di vitamina D. Tuttavia esistono diversi fattori che riducono l’assorbimento dei raggi solari della pelle, contrastando la formazione di vitamina D, quali:

  • aumentata pigmentazione di melanina,
  • ipercheratosi,
  • utilizzo di filtri solari (es. creme solari),
  • scarsa esposizione al sole,
  • brevità delle ore di sole,
  • obliquità dei raggi solari (periodo invernale),
  • presenza di smog con conseguente riduzione della penetrazione dei raggi UV.

Quanta vitamina D genera il sole sulla nostra pelle?

Esponendo il 100% della superficie del corpo al sole per un tempo necessario a produrre un lieve eritema (circa 30-45 minuti nel periodo estivo), si garantisce un aumento plasmatico di concentrazione di vitamina D equivalente all’assunzione di una dose orale di colecalciferolo pari a 1.000 UI (pari a 25 microgrammi), una concentrazione utile per il fabbisogno giornaliero di una persona sana per 3-5 giorni.

 

Fonti di vitamina D

Gli alimenti più ricchi di vitamina D sono il fegato, gli oli di pesce, alcuni pesci marini (aringa, salmone, sardina). Minori quantità sono presenti nelle uova, nel burro e nel latte.

Fabbisogno giornaliero di vitamina D

Secondo il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, il consumo di vitamina D consigliato è di 5 mg di vitamina D. In condizioni normali una buona esposizione al sole ed un’alimentazione varia è sufficiente per soddisfare i bisogni di calciferolo dell’organismo. Tuttavia il medico può prescrive integratori alimentari di vitamina D e Calcio, integratori antiossidanti o addirittura farmaci (Dibase® o Didrogyl®) in caso di carenza vitaminica o in caso di presenza di fattori di rischio.

 

Carenza di vitamina D

La carenza di vitamina D è la condizione clinica derivante dall’assenza di appropriati livelli di vitamina D nell’organismo. Secondo l’Università di Harvard, la carenza di vitamina D riguarderebbe circa un miliardo di persone nel mondo.

Le principali conseguenze della carenza di vitamina D sono il rachitismo, nei soggetti giovani e l’osteomalacia e l’osteoporosi, negli individui adulti.

La diagnosi di carenza di vitamina D viene eseguita con un’analisi del sangue, più nel dettaglio si ricerca il quantitativo di preormone calcidiolo per volume di sangue:

Condizione Concentrazione in nmol/l Concentrazione in ng/ml
Carenza <30 nmol/l <12 ng/ml
Insufficienza Tra 30 nmol/l e 75 nmol/l Tra 12 ng/ml e 30 ng/ml
Normalità Tra 75 nmol/l e 200 nmol/L Tra 30 ng/ml e 80 ng/ml
Eccesso >200 nmol/l >80 ng/ml
Tossicità >375 nmol/l >150 ng/ml

Cause di carenza:

La carenza di vitamina D può dipendere da:

  • insufficiente apporto con l’alimentazione;
  • scarsa esposizione al sole;
  • alterata capacità di assorbimento intestinale;
  • malattie del fegato e del rene che compromettono la produzione di enzimi deputati alla bio-attivazione della vitamina D;
  • utilizzo di farmaci quali colestiramina, glucocorticoidi, antifungini, antivirali, medicinali antirigetto ecc… che compromettono il normale metabolismo della vitamina D.

Esistono inoltre dei fattori di rischio associati a maggior rischio di comparsa di carenza di vitamina D; tra i principali:

  • obesità: la vitamina D, essendo affine ai tessuti grassi, viene sequestrata da questi ultimi, con riduzione della biodisponibilità;
  • fumo di sigaretta e alcolismo: alterato metabolismo enzimatico della vitamina D;
  • età avanzata: la pelle, con l’aumentare dell’età, perde progressivamente la capacità di produrre vitamina D;
  • morbo di Crohn o celiachia: compromissione dell’assorbimento intestinale di vitamina D;
  • bimbi allattati al seno per un lungo periodo possono presentare carenza da vitamina D, poiché il latte materno ne è una scarsa fonte.

Sintomi da carenza e malattie associate

La carenza di vitamina D è una condizione subdola. Tuttavia gravi carenze possono mostrare un quadro sintomatico caratterizzato da:

  • dolore alle ossa, alle articolazioni e ai muscoli;
  • stanchezza ricorrente;
  • ossa fragili che tendono a deformarsi;
  • disturbi neurologici (difficoltà a pensare in modo chiaro).

La carenza di vitamina D compromette in modi diversi la mineralizzazione delle ossea, il che contribuisce allo sviluppo di malattie come il rachitismo, nei bambini, e l’osteomalacia e l’osteoporosi, negli adulti. Tuttavia recenti studi associano la carenza di vitamina D a malattie quali il diabete, l’ipertensione, sindrome metabolica e dislipidemie.

Approfondimento: Malattie dell’osso

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Vi sono una serie di patologie di differente natura (eziologia) che interessano l’apparato scheletrico nella sua totalità; esse sono molto complesse dal punto di vista patogenetico.

Generalmente sono coinvolti fattori come deficit nutrizionali, anomalie genetiche che riguardano il tessuto connettivo o le cellule coinvolte nel rimodellamento osseo (osteoblasti ed osteoclasti), oppure alterazioni nella sintesi, degli ormoni che regolano il metabolismo del calcio, ovvero gli ormoni calciotropi.

Tra le numerose patologie che possono colpire l’apparato scheletrico le più diffuse e comuni sono quelle caratterizzate da demineralizzazione ossea o da riduzione della massa ossea. Tra queste si annoverano certamente osteomalacia ed osteoporosi.

Sintomi

I sintomi nei soggetti adulti affetti da osteomalacia ed osteoporosi, sono il dolore, la presenza di fratture spontanee o per minimi traumi e la comparsa di deformità ossee, mentre nei bambini si manifesta generalmente come ridotto accrescimento della statura.

La prima manifestazione clinica della malattia è spesso una frattura, generalmente a livello vertebrale o del collo del femore. Tuttavia in alcuni casi la patologia resta asintomatica per lungo tempo e può essere rivelata solo da specifici esami di laboratorio. Purtroppo le malattie ossee da demineralizzazione mostrano un andamento degenerativo, per cui, se non adeguatamente trattate, peggiorano con il passare degli anni.

Osteomalacia

L’osteomalacia è una patologia caratterizzata da inadeguata mineralizzazione della matrice ossea di nuova formazione che compare nell’adulto dopo la saldatura delle cartilagini di congiunzione.

La causa più comune di osteomalacia è, come già menzionato, il deficit nutrizionale di vitamina D, causato quindi da un insufficiente assorbimento intestinale di tale vitamina oppure da un suo alterato metabolismo, o, più raramente, da un deficit genetico che impediscel’utilizzazione della vitamina stessa. A sua volta la carenza o insufficienza funzionale della vitamina D provoca insufficiente assorbimento intestinale di calcio ed altri minerali che costituiscono la matrice dell’osso quali fosfati e magnesio.

Un ulteriore causa di osteomalacia è rappresentata da iperparatiroidismo secondario che produce rilascio di calcio dalle ossa ed una diminuita clearance renale di calcio (che corregge l’ipocalcemia) perlomeno nelle fasi iniziali della malattia. L’osteomalacia se non trattata può evolversi in osteoporosi.

Osteoporosi

Le principali caratteristiche dell’osso osteoporotico sono la diminuzione dello spessore e l’aumento di porosità dell’osso corticale, e la riduzione del numero e della dimensione delle trabecolature trasversali (l’unità di organizzazione del tessuto osseo). L’osteoporosi è associata ad un aumentato rischio di frattura, che, come già detto, costituisce il principale sintomo clinico della patologia.

I principali fattori di rischio associati ad osteoporosi sono:

  • età avanzata;
  • immobilizzazione, assenza di carico;
  • anomalie endocrine (mancanza di estrogeni, ipogonadismo sia maschile sia femminile, iperattività surrenalica, iperparatiroidismo primario);
  • farmaci (terapie croniche con cortisonici);
  • malattie che causano malassorbimento intestinale;
  • menopausa;
  • assunzione di ridotte quantità di minerali (calcio) e di vitamina D;
  • ereditarietà.

L’osteoporosi può essere definita di tipo primario o di tipo secondario. La principale differenza tra i due tipi è che l’osteoporosi primaria è strettamente associata all’invecchiamento ed alla cessazione dell’attività ovarica (menopausa), mentre la secondaria è originata da altre malattie o utilizzo di farmaci e sostanze:

  • Anomalie del sistema endocrino: iperparatiroidismo, ipogonadismo;
  • Patologie tumorali del midollo osseo;
  • Terapia cronica con corticosteroidi;
  • Sindrome di Cushing;
  • Patologie epatiche e gastrointestinali che portano a malassorbimento di vitamina D e calcio;
  • Alcolismo, in quanto l’alcol è un inibitore dell’attività osteoblastica.

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